Christiane Seiffert. Io: il mondo. Da sabato 15 dicembre, ore 19.00
5 dicembre 2007, di Redazione Trova-Roma.com
 

s.t. foto libreria galleria presenta, per la prima volta in Italia, il lavoro dell’artista berlinese Christiane Seiffert: una sequenza di dittici di piccole dimensioni, formati dall’accostamento di una cartolina e di una fotografia/autoritratto dell’artista stessa. La porta berlinese di Brandeburgo, la stazione Banhof dello Zoo di Berlino, il lampione della luce, il cane lupo ed il pettirosso, lo stemma nobiliare della famiglia Buonarroti ritratti sulle cartoline vengono ripresi da Christiane che si trasforma di volta in volta in porta, stazione, lampione etc…attraverso un lavoro di libera fantasia associativa: il risultato sono immagini di forte carica ironica e trasgressiva. La mostra comprende 40 dittici realizzati tra il 1998 ad oggi. Oltre alle serie dedicate all’architettura di Berlino e alla Weimar di Goethe, agli animali ed alle piante l’artista ha realizzato per l’occasione una nuova serie di dittici, ispirati ai monumenti di Roma e di Firenze. In occasione della mostra, nella project room di s.t. viene anche presentato uno slide show dedicato all’opera dello scultore espressionista tedesco Ernst Barlach a cui Christiane si è ispirata (il lavoro è del 1988) per una serie di straordinarie re-interpretazioni Cristiane Seiffert è musicista professionista. Vive e lavora a Berlino e frequenta assiduamente l’Italia. I suoi lavori sono stati esposti in mostre personali, soprattutto in Germania; nel 2002 ha partecipato alla mostra Tableaux vivants. Lebende Bilder und Attitüden in Fotografie, Film und Video tenutasi alla Kunsthalle di Vienna. Il lavoro fotografico di Christiane Seiffert è un lavoro sull’empatia con il mondo circostante. Il sentimento di simpatia avvertito dall’artista nei confronti di oggetti animati ed inanimati – il lampione della luce, il campanile di Firenze, il cane lupo, il pettirosso– è espresso attraverso un processo di reinterpretazione delle immagini che hanno attirato la sua attenzione. Sebbene le premesse siano ambiziose –l’artista come misura del mondo intero- il procedimento attraverso il quale l’artista esprime le sue potenzialità trasformiste è piuttosto amatoriale e sperimentale. Christiane si avvale di piccoli oggetti del quotidiano –mestoli, scodelle, penne, stoffe- che utilizza in maniera del tutto imprevedibile, grazie ad una immaginazione vivace e trasgressiva. Il suo è un linguaggio al femminile, centrato sulla potenziale rispondenza tra un sé mutevole e duttile e il mondo a cui l’artista da forma, risuonando con esso. La sottile carica ironica e la sorprendente fantasia dei suoi dittici anima frammenti di mondo altrimenti muti; l’utilizzo spregiudicato della convenzione dell’autoritratto la iscrive nella tradizione dei tableaux vivants inscenati dalla sperimentazione artistica declinata al femminile degli anni ’70. Si potrebbe parlare di un lavoro “minore” fatto di piccole cose, di stratagemmi e trovate. La scelta di servirsi di dittici di piccole dimensioni, formati dall’accostamento di una cartolina e di una fotografia, accentua questa caratteristica. L’immagine della cartolina è il modello per l’autoritratto dell’artista, il suo alter-ego. Così come la cartolina è stata ed è il supporto universale su cui, malgrado le piccole dimensioni (10x15), il mondo intero è rappresentato – i contesti urbani, i monumenti artistici, gli animali, i personaggi famosi - le fotografie-autoritratto di Christiane danno forma al sentimento di partecipazione, all’empatia che la anima. Il suo sguardo la spinge ad esplorare, seppur per il breve momento dello scatto, l’altro, il fuori da sé. La scelta della cartolina accentuano le potenzialità comiche delle immagini in cui Christiane diventa la Banhof Zoo di Berlino, l’aeroplano pronto a decollare, il fiero cane lupo e il gattino peluche delle cartoline kitsch anni ’70. Allo sguardo degli oggetti l’artista risponde prestando il proprio corpo, attivando uno scambio di identità in cui la difficoltà non è tanto cogliere il movimento esteriore, la forma, ma piuttosto renderne la natura profonda, la sua “coseità”. Se questo processo è piuttosto facile con un cane lo è decisamente meno con la casa di Goethe a Weimar, il Campanile di Giotto a Firenze o la pianta grassa del giardino di un’amica a Capena. Il suo è dunque un percorso puntellato da incontri in cui, come suggerisce Deleuze, non si tratta di copiare, imitando o simulando ma al contrario di trovare, catturare e rubare altri corpi, pose e volti fino a perdere il proprio. Non è dunque un lavoro che si iscrive nella scia della mimesis classica ma piuttosto nella sfera dell’Einfühlung, l’empatia di matrice tedesca tardo romantica, e ripresa in anni più vicini dagli studi sulla teoria della ricezione. Che le immagini abbiano il potere di influenzare le nostre pose nel momento stesso in cui noi le percepiamo visivamente è un tema attualmente molto dibattuto: i dittici di Christiane sembrano provare la giustezza di tale supposizione.