La dodicesima notte al teatro Ghione
20 gennaio 2009, di Redazione Trova-Roma.com
 

Dopo Amleto, Romeo e Giulietta e Sogno di una notte di mezza estate, Nicasio Anzelmo mette in scena a Roma uno dei più complessi testi shakespeariani: La dodicesima notte. Ambiguità e confusione danno vita ad un esilarante quanto esasperato gioco di sospetti, frutto di una raffinata tecnica teatrale quanto di una consapevole maturità artistica.

L’apertura del sipario svela una tempesta: la sua forza distruttrice spazza via tutto, sovverte l’ordine delle cose, stravolge con la sua energia la vita degli uomini e con la potenza del suo soffio cambia il corso delle cose.

L’annullamento degli ordini naturali costringe ad assumere nuove identità e convivere, a volte faticosamente, con la nuova condizione. Viola e Sebastian, fratelli gemelli, vengono divisi da questa potenza distruttrice che li costringe entrambi a sperimentare una nuova esistenza, celando la propria identità. Da questo allontanamento primitivo ha luogo l’ultima commedia del ciclo romantico shakespeariano: La dodicesima notte.

Nel pieno della sua maturità creativa l’Autore tesse giochi scenici dal notevole spessore. La commedia non porta titolo (almeno non assegnato dall’autore), né porta riferimenti a date o circostanze spazio/temporali. Shakespeare lascia ampia libertà decisionale allo spettatore/attore/lettore. L’Illiria stessa potrebbe essere una qualsiasi parte del mondo nella quale si muovono personaggi che il pubblico impara a conoscere. Ambiente e tempo non hanno nessuna importanza: la commedia gioca i suoi toni divertiti sull’equivoco e l’ambiguità a esclusiva fruizione del pubblico. Tutti i personaggi di Shakespeare sono vivi, veri, eterni. Ma il suo genio è riuscito a fare molto di più: di volta in volta li ha posti in ambiti particolari, in “contenitori archetipali” ben definiti: “Romeo e Giulietta” nell’ Amore, “La Tempesta” nel Perdono, “Amleto” nell’ Odio, “La dodicesima notte” nel Divertimento.

Nel corso della vita di ogni uomo, prima o poi, scoppia una tempesta. Il mare dei sentimenti si gonfia a causa di tempestosi venti mentali, la “barca” comincia a vacillare per poi inabissarsi, ed i principi complementari gemelli che garantivano l’equilibrio a tutto l’essere psicofisico, lo yin e lo yang, si separano e naufragano in posti diversi. Tutto l’universo manifesto è figlio di queste due supreme forze complementari, ogni increspatura che misteriosamente appare sull’infinito mare coscienziale è figlia dell’Essere e del Non Essere, del Suono e del Silenzio, del Chiaro e dello Scuro, del Maschile e del Femminile, dello Yang e dello Yin, del Cielo e della Terra.

“O Spirito, se ti gira, mettimi in vena. Tutti questi spiritati che pensano di averti in tasca, a volte sono proprio matti; e io che mi sento così povero forse posso passar per savio. […] Tutto ciò che si emenda è rappezzato. E come la virtù che degenera ha le toppe di peccato, così il peccato che si emenda ha le pezze di virtù” (Feste, Atto I – scena V).

L’amore estremo diviene cieco e “peccaminoso”, mentre la beffa spinta oltre i limiti diventa quasi saggezza. La vita stessa per Shakespeare è incomprensibile: è come la parola, un discorso. Terzo atto, scena prima: “Una frase è appena un guanto di capretto per uno che sa parlare: fa presto a voltarne il dritto al rovescio e il rovescio al dritto . . . le parole sono diventate così false che proprio non me la sento di servirmene per dimostrare la verità” (Feste).

Ha proprio ragione Calderon de la Barca ne “La vita è sogno” ad affermare che i sogni non sono che ombre proiettate dalla luce della coscienza sullo schermo mentale; non sono che illusioni, traiettorie di un punto, eco di qualcosa che non è, e che per essere è costretto a tradirsi apparendo per quello che non è.

La Dodicesima notte o… Quel che volete, è forse il punto più alto non solo della tecnica teatrale di Shakespeare ma anche della sua filosofia che sfiora la realizzazione Zen esprimibile solo attraverso koan paradossali, o dialoghi che prendono in giro il dialogare.

Tutto comincia con il “naufragio” delle due forze complementari yin e yang. É, in alchimia, il momento del caos - che altri non è se non la primissima materia - il punto di partenza, l’inizio della grande opera. L’individuo “non capisce più niente”, non ha più la certezza di avere un centro attorno a cui ruotare, la sua anima (psiche) sembra essere “posseduta” da qualcosa di “esterno”, di più grande, di diverso e imprevedibile. Jung direbbe che è il momento in cui si manifestano gli archetipi dell’inconscio collettivo, che possono più o meno “possedere” la coscienza.

Come dal nulla, sul palcoscenico della psiche nascono degli strani personaggi, i quali per adesso sono solo una folla caotica e mascherata… Solo alla fine, con la riconquista del nuovo equilibrio, ogni parte riconoscerà l’altra e l’individuo potrà godere un po’ di riposo fino al successivo caos, che immancabilmente si ripresenterà nel corso della vita.

Ora, se i due gemelli rappresentano le forze yin e yang che separandosi danno inizio al caos, Orsino e Olivia possono essere considerati come le stesse forze sublimate, “nobilitate”. In alchimia essi sarebbero le due componenti del mercurio filosofico: c’è un mercurio volgare composto da Sebastiano e Viola, che dopo il naufragio e l’approdo all’isola dovranno unirsi con un elemento nobile per formare l’elemento filosofico.

La forza yang dovrà affinarsi con la musica, l’arte e la “pulizia”, prima di unirsi alla forza yin che dovrà dal canto suo purificarsi “mascolinizzandosi”, tendendo all’opposta forza. L’incrocio finale di Olivia e Sebastian, e di Orsino con Viola, può essere considerato come un doppio incrocio di queste due forze in due centri della “neutra” colonna centrale, un doppio incrocio dei due serpenti intorno alla verga di Mercurio.

Ma qualcosa accade anche ai "livelli più bassi".

Feste, Maria, Fabian, Sir Toby de’Rutti e Sir Andrew Gotafloscia, rappresentano la componente dionisiaca, diavolesca. Quella parte della personalità che va continuamente verso lo “smembramento” attraverso l’eccesso (del bere, del cantare, del “buffonare”, dell’esagerare in genere). Di contro, Malvolio rappresenta la componente, apparentemente, virtuosa.

Queste due parti si muovono come la parte volatile del composto alchemico. Alla fine della commedia, quello che sembrava virtuoso diventa ridicolo e buffonesco, e viceversa; quello che sembrava essere bricconesco, diventa virtuoso: è il cane che si morde la coda, lo scambio dei ruoli. I contrari si sono toccati e si sono scambiati le vesti.

TEATRO GHIONE Via delle Fornaci, 37 - ROMA

Martedì - Mercoledì - Venerdì - Sabato ore 21,00 Giovedì - Sabato - Domenica ore 17,00 Biglietto euro 22